Prendiamo posizione per la diversità come condizione di relazioni ospitali
a cura di Fiorella Capasso,Fiodanice-Cultures en dialogue
febbraio 2020
Gli orientamenti valoriali e metodologici maturati nel corso della storia della Congregazione sono stati riattualizzati grazie all’inteso lavorio dell’Ufficio Internazionale Giustizia e Pace e condensati nelle Dichiarazioni di Posizione 2018 su Migrazioni, Contrasto alla prostituzione e alla tratta delle donne e delle bambine, Tutela di minori ed adolescenti, Ecologia integrale e Giustizia Economica. Essi stimolano tutte le realtà impegnate a dare continuità al carisma e sostenibilità ai servizi apostolici a promuovere una nuova etica che risponda ai segni dei tempi con cuore antico e sguardi rinnovati: il diverso (ma anche lo straniero, il futuro, l’ignoto) non va tanto integrato quanto soprattutto rispettato nel suo desiderio di vivere diversamente, a cui corrisponde, nel contempo, il nostro diritto alla specifica singolarità derivante dalla nostra propria biografia e cultura di appartenenza:“non c’è nulla di più radicale dell’origine”[1].
Non siamo forse di fronte, ieri come oggi, all’invito ad “entrare per la porta stretta” (Matteo 7, 13-14) con tutto quel che ne consegue in termini di maggiore esigenza, per ogni partner nella missione, di “consapevolezza che noi stessi abbiamo bisogno di continua conversione (Costituzioni 4)?
Come praticare in un mondo tanto complesso e compromesso dalla deriva umanitaria, causata in gran parte dall’Occidente, uno dei più diffusi principi etici e strategici testimoniati dalla vita e dall’opera di Santa Maria Eufrasia: “Una persona vale più di un mondo”?
Proprio in questa prospettiva l’Unità Italia-Malta si è dotato di un Piano Strategico che indica le grandi sfide dei prossimi anni “per rimettere in moto la vita” e rilanciare una missione capace di “rispondere con più urgenza al grido del nostro mondo ferito”[2]. Ispirandosi al patrimonio spirituale della Congregazione, alle Posizioni della Congregazione, al Magistero della Chiesa e all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile promossa dall’ONU, i processi promossi dal Piano Strategico aprono a collaborazioni complesse dal punto di vista della molteplicità delle diversità chiamate a confrontarsi e che, per certi versi, chiedono di essere “ospitate” per generare assieme il futuro.
I tempi agitati in cui viviamo non aiutano: sono densi di contrasti, di disordine, di sradicamenti, di movimenti accelerati che ci sballottano, spingono in avanti e spesso ci fanno girare la testa. Nel mondo globalizzato mobilità e mescolanza di persone, cose e culture provocano tensioni, confusioni, e incertezze e trasformazioni esistenziali e sociali vorticose, imprevedibili, spaesanti.
Sembra inoltre che la caratteristica centrale della modernità sia proprio la relazione di estraneità.
Comprensibile che, sia nelle nostre relazioni quotidiane, sia per effetto delle complesse vicende mondiali, oggi siamo spesso colti da sconcerto, sgomento, paura. Difficile oggi resistere alla voglia di rifugiarsi nel conforto delle proprie abitudini e/o nell’illusione di padroneggiare l’incontro con il diverso. Si privilegia spesso una posizione di dominazione (assimilazione/espulsione) o una posizione di esclusione (indifferenza/separazione). Quando il diverso irrompe si va in automatico: come se la propria esperienza e la propria cultura fosse inscritta in un quadro comune, che si crede sia universalmente riconosciuto – che l’altro ignorerebbe/rifiuterebbe – ma a cui le eventuali differenze dovrebbero naturalmente omologarsi.
Queste due posizioni, dominazione ed esclusione, sono profondamente radicate nelle dinamiche umane. La tendenza a proiettare sull’altro pensieri ed emozioni, negative o positive, ci caratterizza profondamente e rientra nei meccanismi di difesa che scattano in noi, davanti a situazioni percepite come dolorose o potenzialmente pericolose, senza che neanche ce ne accorgiamo. Potremmo dire che il modo con cui entriamo in relazione col diverso, lo straniero, l’ignoto[3] parla più di noi stessi, della stoffa di cui siamo fatti, che dell’altro: “Tutto ciò che ci irrita negli altri, può portarci a capire noi stessi”[4]. Gli altri, insomma, fungono da specchio che ci rimandano informazioni su di noi che, se fossimo disposti a cogliere, potrebbero illuminarci tanto sui nostri punti di forza, quanto sui nostri punti deboli. Ciò che non ci piace negli altri, che non corrisponde alle nostre aspettative o ai nostri valori, potrebbe in realtà arricchire la nostra esperienza attraverso l’opportunità di conoscere e comprendere ciò che di noi resterebbe altrimenti nell’ombra…anche a noi stessi[5].
In genere – a meno che non ci siano in gioco questioni di vita o di morte – siamo poco disposti a rischiare la perdita dell’ordine abituale e a mettere in discussione l’immagine a cui desideriamo corrispondere, perché questo significherebbe mettere in crisi il sistema di valori che usiamo per orientarci nella nostra vita. Ci teniamo stretta stretta la nostra…trave: “Come puoi dire al tuo fratello: ‘Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio e tu non vedi la trave che è nel tuo?” (Luca 6, 42). La presenza dell’altro tra noi provoca a “lavorare” su un diffuso pre-giudizio: che ci sia una cultura primaria a monte, una singola cultura (la propria!) che possa offrirsi come base identitaria comune. Le diverse culture che si incontrano nel mondo sarebbero allora solo delle variazioni della propria?
In verità nell’incontro con l’altro troviamo somiglianze e differenze e ci troviamo a sperimentare che le prime avvicinano e rassicurano, mentre le seconde separano e inquietano e tendiamo a “scartarle”. Allora credere che “l’unità sempre si dà nelle differenze”[6] non vorrà forse dire mettersi al lavoro della relazione tra diversi valorizzando anche e soprattutto gli “scarti”? La cosiddetta cultura dell’incontro ci impegna, come sollecita instancabile Papa Francesco, ad “uscire da se stessi ed essere pellegrini”[7]. Il confronto con l’altro, lungi dall’essere scontato, obbliga ciascuno a non sottovalutare il concetto di differenza e le sue implicazioni. Si tratta di imparare a sopportare e “digerire” – nei tempi e nei travagli inevitabili, personali e collettivi – l’irruzione di sensazioni spiacevoli e disturbanti di vulnerabilità, di non-autosufficienza di sé e delle proprie appartenenze.
Contrastare invece l’attuale cultura che vedo lo scarto come qualcosa da eliminare e spinge ad annullare le differenze, aprirebbe “le strade per riprendere i fili di un rapporto spesso parziale o deformato con la verità, con gli altri esseri umani e con se stessi”[8], oltre che con la Terra che tutti ospita. Parte di ciò che ci serve per la nostra crescita la troviamo proprio nelle persone che ci danno più fastidio!
“L’uomo è creato in modo tale da essere innanzitutto dato a sé stesso in ‘forma-di-inizio’; in un’apertura e predisposizione di ciò che gli verrà incontro.
Se egli si blocca o si irrigidisce, se resta chiuso in sé stesso, se non corre mai il rischio di disporsi nell’atteggiamento di dedizione alla realtà, allora diventerà sempre più rigido e misero.
Egli ha conservato per sé la propria anima e così l’ha sempre più perduta”[9].
La differenza è la prima caratteristica delle persone e della loro specificità in cui ognuno è insieme un universo e un unico irripetibile, come le individualità storicamente maturate e determinate nelle comunità umane. La differenza ci mette in contatto con popoli, etnie, gruppi e minoranze portatori, appunto, della propria cultura, della originale civiltà, nelle espressioni ed inflessioni della lingua d’origine, della propria visione del mondo intrisa dei significati dell’arte, del pensiero, della creatività, in cui si assomma la pluralità delle culture del genere umano: “Voi, infatti, di qualsiasi condizione o nazione siate, uomo o donna, avete tutti gli stessi occhi. Ma il vostro sguardo differente ha visto cose diverse”[10].
“Se siete differenti, avrete qualcosa di nuovo e di vero da dire. E non parole da ripetere. La differenza vi darà il senso delle cose e degli uomini. Se la somiglianza vi inviterà a sedervi accanto a lei, la differenza vi chiamerà al suo incontro, posando il suo sguardo nel vostro, davanti a voi che non siete tutto, ma solo un pezzo di vita da vivere con altri”[11].
Come vivere allora la diversità non come un ostacolo da superare, un disagio da azzerare, ma un’imprescindibile risorsa, l’indizio privilegiato di tutta una serie di ricchezze, peculiarità, prerogative e caratteri che attendono di essere riconosciuti e valorizzati per impedire così alla diversità di trasformarsi in disuguaglianze sociali e civili, giuridiche ed economiche? Come evitare che la diversità sfoci in frammentazioni e violenze?
Come non sfuggire all’incontro con l’altro, destabilizzante e vivificante? Di più, come dare il benvenuto all’altro, integralmente, cioè sia nelle somiglianze che nelle differenze? Come imparare ad ascoltare il diverso e a sapergli rispondere quando con lo sguardo, con l’appello, ci provoca : “Ospitami!”[12].
Camminiamo su un terreno di interrogazione, sperimentazione e innovazione:
“i dubbi e l’amore arano il mondo”…dice il poeta[13].
(prima parte)
Marc Chagall, La vita, 1911-1912
[1] Cfr.Maria Zambrano (1904-1991), filosofa spagnola in Verso un sapere dell’anima, 1991.
[2] Dalla Dichiarazione del 30° Capitolo di Congregazione.
[3] Non a caso nella Home abbiamo scelto di dare risalto all’invito che la Responsabile di Congregazione, Suor Ellen Kelly, a seguito della sua partecipazione ad un incontro della nostra Unità Italia-Malta, a marzo 2016, a rivolto, alle Sorelle e ai Partners laici impegnati nella missione: “Abbiate il coraggio di andare di andare avanti. Dio ci viene incontro mentre camminiamo verso il futuro”.
[4] Carl Gustav Jung
[5] Cfr. Julia Kristeva, Stranieri a sé sessi, 1990
[6] È un concetto che abbiamo già ricordato nell’editoriale del mese di gennaio sulla Pace: è stato espresso da Papa Francesco nell’incontro con 17 leader religiosi del Myanmar, buddisti, islamici, indù, ebrei, cattolici e cristiani di altre confessioni. Il 28/11/2017.
[7] Evangelii Gaudium 124
[8] Cfr Agostino Giovagnoli, L’Umanesimo di Papa Francesco. Per una cultura dell’incontro, 2015
[9] Cfr. Romano Guardini (1885-1968) teologo e scrittore italo-tedesco, cercò di applicare la visione cristiana del mondo a tutti gli aspetti della cultura, dalla poesia alla musica, dalla tecnica alla filosofia senza mai prescindere mai dalla considerazione dell’individuo e della sua libertà. Guardava ad un «risveglio della Chiesa delle anime».
[10]Cfr. idem
[11] Cfr. Renato Zilio, Elogio della differenza, 1995
[12] Placido Sgroi in Teologia dell’ospitalità, 2019, a pag.83, suggerisce che “possiamo interpretare il suggestivo passo di Apocalisse 3,20: ‘Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me.”
[13] Cfr .il poema “Da dove abbiamo ragione” del poeta israeliano Yuhuda Amichai. Egli è considerato da molti il più grande poeta israeliano moderno, convinto fautore della pace e della riconciliazione in Palestina. In questo poema l’amore viene visto come un frutto che cresce in “zona” di incertezza, di mezzo vuoto, così come il pensiero, la creatività e la capacità di dubitare. Da dove abbiamo ragione ha fatto parte della” trama di Parola e di parole” che ha ispirato il XXX Capitolo Generale 2015 e che abbiamo inserito anche nel Percorso poetico dell’iniziativa #gratiagreta, in sintonia con la trama di valori che Yehuda Amichai prova a tessere per nutrire la vita in tempi e luoghi di conflitti negati e/o soffocati, a danno dei più deboli e “scartati”: la giustizia, la riconciliazione e, soprattutto, la misericordia, cioè, nel linguaggio laico di Yehuda Amichai, l’amore.