Prendiamo posizione per la resilienza come diffusa capacità di vita
a cura di Fiorella Capasso,Fiodanice-Cultures en dialogue
aprile 2020
Mai come in questi giorni tempestosi – che ricorderemo come quelli del Coronavirus – abbiamo sentito l’esigenza di raffinare le competenze umane, spirituali, professionali e organizzative attraverso cui abitualmente accompagniamo i percorsi di resilienza [1] delle tante persone vulnerabili accolte nei nostri Servizi apostolici perché esposte a sradicamenti, violenze dirette e/o assistite, sfruttamenti sessuali e/o lavorativi, marginalizzazioni e discriminazioni.
Mai come in questi giorni tempestosi abbiamo visto le donne, le ragazze e i ragazzi, le bambine e bambini, italiani e stranieri ospitati nelle nostre strutture residenziali, tremare di fronte a questa prima misteriosa avversità globalizzata. Quali ricadute avrà sul mio percorso già così arduo? Avrò sufficiente capacità di trarre forza positiva da questo ulteriore evento negativo e stressante che oggi coinvolge tutti? Chi mi sta aiutando a trarre beneficio dalle mie dolorose vicende personali che, all’inizio, mi sembravano solo qualcosa di distruttivo, saprà oggi accogliere e trasformare in risorsa dolori che si vanno facendo più acuti e diffusi?
Da parte loro le équipe impegnate nella missione come tutor di resilienza – quale via per riconoscere la persona nella sua globalità, potenziarne risorse e competenze e provare a ridurre la condizione di vulnerabilità – oggi sono concentrate a riadattare strumenti e competenze di “gestione della crisi da Coronavirus” nella quotidianità dei servizi. Ogni giorno occorre garantire, in condizioni di emergenza straordinaria, una qualità della relazione di aiuto, capace di intrecciare sicurezza e cura delle persone e dei loro progetti di vita nuovamente a rischio. Ogni giorno occorre mantenere una qualità della relazione di aiuto fatta di sostegni discreti e integrati, delicati, capaci di ascoltare, conoscere, ricreare costantemente un rapporto, una relazione di fiducia, partendo dal punto in cui si trova l’altro, con le sue specifiche forze e debolezze per accompagnarlo ad esercitare, in modo via via più autonomo, la capacità di riannodare i fili della propria storia tra passato, presente e futuro.
Sono questi gli smarrimenti, le interrogazioni e i sentimenti che circolano nelle nostre realtà in questi giorni tempestosi di trauma collettivo. Nessuno infatti era preparato ad una emergenza come quella che stiamo vivendo che introduce prepotentemente la dimensione angosciante dell’inatteso, dell’imprevedibile, dell’ingovernabile non solo nella vita dei singoli, ma anche in quelle delle istituzioni e dei sistemi su scala mondiale. Pensavamo anche noi di “rimanere sempre sani in un mondo malato” [2]?
Per le persone accolte, ben prima del Coronavirus era arrivato “il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è…il tempo di reimpostare la rotta della vita” [3]. Certo, tutte e tutti, chi più chi meno, ormai hanno avuto modo di comprendere che “reimpostare la vita” implica molto più della semplice capacità di sopravvivere. Perché la resilienza è la capacità di comprendere e far fronte coraggiosamente a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. È provare a ricostruirsi restando sensibili alle opportunità che la vita stessa offre, rafforzando l’autostima, senza alienare la propria identità e senza perdere in umanità. È sopportare le incognite del percorso. La resilienza “ha bisogno di essere vissuta, compresa, annusata, assaporata, sputata, negata, ascoltata e infine integrata, proprio come il flusso della vita”[4]. Anche la situazione peggiore e più stressante reca con sé un’importante occasione evolutiva da volere/sapere/potere/cogliere…un’occasione di lotta, coraggio e resistenza per non cedere agli inevitabili momenti di rassegnazione, di rivendicazione e/o di esaltazione.
Ne sa qualcosa Boris Cyrulnik, il neuropsichiatra francese che ha diffuso in Europa un’idea di resilienza fertile di significati. Rielaborando le avversità estreme – vissute nell’infanzia – che hanno messo in pericolo la sua propria vita, è riuscito a precisare maggiormente il carattere di trasformazione della vita su quello originario di resistenza agli urti della vita proprio della cultura americana. Questa, a sua volta, recupera la radice etimologica latina di “resalio”, dal verbo “salio”, che in una delle sue accezioni originali indicava l’azione di risalire sulla barca capovolta dalle onde del mare in tempesta.
Per Boris Cyrulnk la risposta alla catastrofe non consiste nel ristabilire, rafforzandolo, l’ordine precedente, ma nel crearne uno che prima non c’era, provando a recuperare tutto il valorizzabile della propria storia. Il trauma è riparabile, ma non reversibile: la rottura è una fluttuazione, obbliga i sistemi alla creatività. Dal disordine alla fertilità: il caos apre continuamente vite incredibili.
Non a caso, in questi giorni tempestosi, da bravo “guaritore ferito” [5], Cyrulnik si è così espresso [6]: “Dopo il Coronavirus ci saranno cambiamenti profondi. È la regola. Le crisi sono frequenti nella condizione umana. Abbiamo già conosciuto molte epidemie che hanno costretto a delle rivoluzioni culturali”. Possiamo crederci. Lui, di cambiamenti profondi ne sa veramente qualcosa per averli vissuti sulla sua propria pelle. Già da bambino fu costretto a reinventarsi la vita, mentre i suoi genitori andavano a morire nei lager. Si salvò da un rastrellamento in sinagoga nascondendosi in bagno e venne cresciuto da una donna misericordiosa sotto falso nome. “Attualmente – continua Cyrulnik nell’intervista – con questo confinamento in casa dobbiamo mirare alla ricerca interna”. Come dire che questo trauma collettivo ci obbliga a inventare nuove regole e maniere di vivere insieme, a tutti livelli: “Ci adatteremo attraverso un ritorno a noi stessi, ritroveremo i valori dei nostri nonni”.
In termini spirituali questi giorni tempestosi ci offrono la possibilità di recuperare in capacità di memoria e di alleanza [7]…“andrà tutto bene” o, meglio, tutto potrebbe andare meglio, ma a condizione di non fare leva solo su entusiasmo e volontà individuali. Urge soprattutto una maggiore comprensione e assunzione di responsabilità anche collettiva della realtà che il Coronavirus ci presenta: “oggi ci mettiamo la mascherina perché fino a ieri ci siamo messi il paraocchi” [8].
Sarà questo il senso di quanto ci hanno tramandato gli antichi: “Tutto ciò che è grande è nella tempesta” [9]? Forse il grande messaggio di questi giorni tempestosi è questo: seppure ci siamo scoperti più fragili e vulnerabili di quanto credessimo, insieme possiamo tentare la resilienza e rigenerare la vita. Ricorda tanto il messaggio paolino “quando sono debole è allora che sono forte” (2 Corinti 12, 10).
Un buon viatico per i percorsi di resilienza-2020 personali, professionali, organizzativi, istituzionali e sociali in questi giorni tempestosi? Attrezzarci ed attrezzare diffusamente a mettere in circolo e a far crescere una capacità ecologica di contenere paradossi e contraddizioni, con coraggio, prudenza e audacia, tessendo insieme, in rete, trame di vita… perché “la vida es muy linda” [10] e i percorsi di resilienza sono permeati di complessità intesa sia come problema da affrontare, sia come terreno di sperimentazione e innovazione…dice il poeta:
“Noi che non siamo sconfitti
Solo perché continuammo
A tentare, contenti alla fine
Se il nostro ritorno nel tempo
(Non troppo lontano dal tasso)
Dà vita a un suolo che ha senso.” [11]
Goa, Rinascita, 2019
[1] La resilienza è un termine che ritroviamo in diversi campi applicativi, dall’ingegneria all’informatica, dalla psicologia alla biologia. Qui ci riferiremo alla resilienza psicologica, ovvero alla capacità dell’uomo di resistere alle avversità della vita.
[2] Cfr. Papa Francesco, Omelia pronunciata al momento di preghiera straordinario in tempo di epidemia, il 27 marzo scorso.
[3] Cfr. Papa Francesco, ibidem.
[4] Cfr. Elena Malagutti, Educarsi alla resilienza, 2005.
[5] Cfr. Gustav Jung, recuperando il mito greco di Chirone, considerato il padre della medicina, ha introdotto un’idea che ha rivoluzionato l’approccio alla “relazione di aiuto”: si può contribuire alla guarigione dell’altro nella misura in cui si è consapevoli delle proprie ferite.
[6] Cfr. Intervista alla trasmissione radiofonica francese Gran bien vous fasse.
[7] Cfr. Omelia di Papa Francesco del 2 aprile a Santa Marta.
[8] Cfr. Flavio Troisi, scrittore e blogger.
[9] Cfr. Platone, Repubblica, 497, d, e.
[10] Cfr. Video di incoraggiamento affettuoso di Papa Francesco ad essere resilienti.
[11] Cfr. T.S.Eliot, Quattro Quartetti, 1982.