Prendiamo posizione per proteggere in rete i bambini da dolore e ingiustizia
a cura di Fiorella Capasso,Fiodanice-Cultures en dialogue
ottobre 2020
Ci lasciamo alle spalle un’estate in cui il sole si è più volte spento, in cui i l principio del “Tutto è connesso” è saltato, come in un cortocircuito, lasciandoci senza respiro, il cuore rattrappito, in risonanza con quello dei corpicini straziati di due bimbi[1], uno di nemmeno due anni, l’altro di quattro, diversi per estrazione sociale, ma accomunati, malgrado le apparenze, da una precoce solitudine dell’anima[2].
La mente è subito corsa al verso[3] “Senti come mi batte forte il tuo cuore”…perché “il poeta è fratello fedele di tutte le connessioni”[4].
Li abbiamo visti passare in un lampo dal silenzio di un mondo sordo, che vive con gli auricolari, al clamore e ai rumori della scena nazionale mediatica. Per pietà, facciamo in modo di non cadere nel solito “troppo rumore per nulla”[5]. Sono già morti di “troppo”: rispettivamente, il più piccolino, per troppo poco amore e l’altro, paradossalmente, per troppa “dedizione”.
La loro vita si è spenta per responsabilità delle famiglie, ma non solo. Su quelle famiglie misericordia e rispetto impongono qui di tacere. Le immaginiamo ormai travolte dalle conseguenze delle incapacità, personali e intergenerazionali, di trovare la “giusta misura” del Bene[6] nell’amore, quel né troppo né troppo poco che può aiutare a riconoscere e contenere il dolore manifesto e/o silenzioso dei propri figli o nipoti.
Lasciate tranquilli quelli che nascono.
Lasciate spazio perché possano vivere.
Non preparate già tutto pensato.
Non leggete a tutti lo stesso libro.
Lasciate che siano loro a scoprire l’alba
e a dare un nome ai loro baci[7].
Le sciagure familiari e sociali che hanno coinvolto quei due piccoli innocenti appartengono anche a tutti noi, adulti di una generazione impotente/incapace di arginare gli effetti di una sorta di violenza grigia che viene da lontano[8]. Come una nube tossica – che il COVID ha solo avuto il “merito” di evidenziare[9] – sta ammorbando questa nostra epoca di inquietudine[10], di incertezza[11] e di globalizzazione dell’indifferenza[12] sorda al dolore e cieca alle ingiustizie che colpiscono i più vulnerabili. Per questo Papa Francesco, instancabilmente, ci convoca a “Guarire il mondo e a preparare il futuro insieme a Gesù che salva e che guarisce”:
“Un piccolo virus continua a causare ferite profonde e smaschera le nostre vulnerabilità fisiche, sociali e spirituali. Ha messo a nudo la grande disuguaglianza che regna nel mondo: disuguaglianza di opportunità, di beni, di accesso alla sanità, alla tecnologia, all’educazione: milioni di bambini non possono andare a scuola, e così via la lista. Queste ingiustizie non sono naturali né inevitabili. Sono opera dell’uomo, provengono da un modello di crescita sganciato dai valori più profondi. Lo spreco del pasto avanzato: con quello spreco si può dare da mangiare a tutti. E ciò ha fatto perdere la speranza a molti ed ha aumentato l’incertezza e l’angoscia. Per questo, per uscire dalla pandemia, dobbiamo trovare la cura non solamente per il coronavirus – che è importante! – ma anche per i grandi virus umani e socioeconomici. Non bisogna nasconderli, facendo una pennellata di vernice perché non si vedano. E certo non possiamo aspettarci che il modello economico che è alla base di uno sviluppo iniquo e insostenibile risolva i nostri problemi. Non l’ha fatto e non lo farà, perché non può farlo, anche se certi falsi profeti continuano a promettere ‘ l’effetto a cascata’ che non arriva mai”[13].
Viviamo in un mondo che viaggia a ritmi “troppo” accelerati, tanto da nasconderci la realtà: rischiamo di rimanere incastrati in un’inerzia culturale e strutturale[14] pervasiva e frammentante che blocca persone, organizzazioni e sistemi, che mina la vita e provoca sentimenti ora di smarrimento, ora di rassegnazione, ora di frustrazione rabbiosa. La continua accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta – sottolinea anche Papa Francesco[15]– si unisce oggi all’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro che spesso stordiscono. Benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi complessi, la velocità che le azioni gli impongono oggi contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica e culturale. Se l’accelerazione conduce, per saturazione, direttamente alla disintegrazione e all’erosione delle nostre relazioni sociali, non c’è da meravigliarsi se, ad un certo punto, cominciamo a sentirci alienati dalle nostre stesse azioni, deprivati della capacità di risonanze, di sentire sé, l’altro, il mondo.
Non lasciamo cadere nel nulla l’ondata di dolore e disperazione da cui siamo stati investiti in estate. Siamo sfidati a cercarvi un senso e a farne germogliare vita. Siamo “co-stretti” a trasformazioni radicali[16] di stili di vita, di pensiero e di modelli; “co-stretti” a rinnovate responsabilità individuali e collettive nella quotidianità puntando, come ancora suggerisce Papa Francesco, in sintonia con le scienze umane e sociali[17] a “non occupare spazi ma attivare processi”…perché la giustizia riparativa[18] è virtù di processi[19] inclusivi e rispettosi dei diritti umani. Siamo “co-stretti”, stretti in rete, alleati ad altri soggetti, pubblici e privati, disposti a permeare di cooperazione piuttosto che di competizione le politiche e le pratiche di protezione sociale perché…“siamo tutti imbarcati”[20].
Dalle due vicende siciliane che abbiamo ricordato emerge che ci sono tante responsabilità da condividere e tante sperimentazioni da lanciare o consolidare per “governare” il dolore[21]. L’ascolto non basta. Il dolore che attraversa la vita collettiva è un dolore diffuso, stratificato, spesso nascosto e complesso. “Governare il dolore” non può significare soltanto gestire le situazioni o le emergenze che lo riguardano, ma anche correggere le politiche e i dispositivi che lo producono. Da questo punto di vista, il dolore diventa, pur nella sua negatività, uno strumento prezioso per riparare e riconfigurare progetti e processi, per smascherare di volta in volta l’inumano che essi esplicitamente contengono, o che indirettamente suscitano.
A questo ci impegniamo dopo un’estate in cui più volte il sole si è spento e abbiamo sentito come levarsi un canto che ci porteremo dentro.
[1] Ci riferiamo a due vicende che hanno avuto luogo in Sicilia in agosto: la prima, a Modica, riguarda la storia di un bimbo di 21 mesi morto letteralmente di botte, per mano del compagno della giovanissima madre, come paralizzata in un “silenzio-connivenza” che tollerava lo stile di vita da padre-padrone dell’uomo con cui conviveva. Le percosse e i maltrattamenti duravano da tempo, malgrado il nucleo fosse seguito dai Servizi sociali e più Procure fossero state interessate al caso. La seconda vicenda è quella del bambino di Caronia scomparso, assieme alla madre – provata da una sofferenza psichica che si trascinava da tempo, acuita dal Lockdown e variamente negata da tanti e a tanti livelli – in circostanze che ancora oggi restano misteriose. Cosi come misteriose restano le cause della morte di entrambi, ma soprattutto del bambino di cui, a distanza di un mese dalla scomparsa, saranno ritrovati solo alcuni resti profanati anche da animali selvatici oltre che da maldestre e sconnesse ricerche.
[2] Cfr. Eugenio Borgna, La solitudine dell’anima, 2011; Zygmunt Bauman, La solitudine del cittadino globale, 2000.
[3] Cfr. Wislawa Szimborska, Premio Nobel della letteratura 1996 in Ogni caso.
[4] Cfr. Hugo Von Hofmannsthal (1874-1929).
[5] Titolo della commedia teatrale di William Shakespeare del 1598.
[6] La giusta misura è la chiave della giustizia e della vita felice secondo Platone, con effetti sociali, ma anche ricadute comunitarie e individuali.
[7] Pablo Neruda (Parral, 12 Luglio 1904 – Santiago del Cile, 23 Settembre 1973) poeta, politico e diplomatico cileno.
[8] Da quando, tra ottocento e novecento è entrata in crisi quell’idea di primato della ragione, di una razionalità universale con cui nel seicento abbiamo accolto la modernità.
[9] Così Papa Francesco all’Udienza Generale di mercoledì 30 settembre: “Nelle scorse settimane, abbiamo riflettuto insieme, alla luce del Vangelo, su come guarire il mondo che soffre per un malessere che la pandemia ha evidenziato e accentuato. Il malessere c’era: la pandemia lo ha evidenziato di più, lo ha accentuato”.
[10] Cfr.Aldo Giorgio Gargani, Inquietudine, in Una Mappa dei sentimenti, 2009.
[11] Cf. Salvatore Veca, Dell’incertezza, 1997; Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, 1999.
[12] Papa Francesco.
[13] Così Papa Francesco all’Udienza Generale di mercoledì 30 settembre.
[14] Cfr. Hartmut Rosa, Accelerazione e Alienazione, 2015; Amitav Ghosh, La grande cecità,2017.
[15] Laudato Si, 18.
[16] Uno dei temi dell’attuale percorso verso il 31°Capitolo di Congregazione 2021.
[17] Cfr. Richard Norman, Ridisegnare l’impresa, 2002.
[18] La giustizia ridistributiva riguarda le risorse da distribuire il più equamente possibile, al centro di quella riparativa troviamo la qualità delle relazioni umane.
[19] Cfr. Salvatore Veca, La priorità del male e l’offerta filosofica, 2005.
[20] Prima ancora di essere il tema della quinta Giornata della Memoria e dell’Accoglienza celebrata il 3 ottobre si tratta di un celebre aforisma di Blaise Pascal (1623-1662), matematico, fisico, filosofo e teologo francese, autore dei Pensieri scritti per difendere la fede cristiana.
[21] Cfr. Sergio Natoli, La politica e il dolore,
[22] Dall’opera Meropa di Riccardo Broschi (1698-1756), (“Simone Kermes: “Chi non sente al mio dolore” )
Joan Mirò
Persona che getta pietra a un uccello, 1925