REDAZIONE
La salma di Agitu accolta in Etiopia
Aveva sfidato il regime locale ed era vista come simbolo dell’integrazione in Italia
Addio ad Agitu Gudeta, 42 anni, uccisa lo scorso 26 dicembre, da un suo dipendente di origina africana (Ghana) che si sentiva sfruttato. Entrambi coinvolti nelle tragedie di percorsi migratori dei nostri giorni in cui si incrociano sradicamenti diversi e si diventa “stranieri a sé stessi”. Stranieri tra stranieri, in territorio straniero, senza culture comuni o parole condivise per potersi confrontare, la violenza può diventare travolgente, specie se il profitto annebbia l’anima e il danaro diventa il mezzo principale della relazione. Parlare di migrazioni significa infatti affrontare la questione del rapporto con l’estraneo (rapporti di potere), a livello personale, comunitario e sociale.
Era coraggiosa Agitu: da qualche anno gestiva un allevamento di capre tra le montagne del Trentino nel Maso Villalta a Frassilongo in Valle dei Mocheni. Era conosciuta come imprenditrice del bio e produceva soprattutto formaggi. La sua azienda agricola, La Capra Felice, nel 2015 riceve il “Premio della resistenza attraverso il formaggio” dalla Rete Slow Food. Nel 2019 è finalista al Premio Luisa Minazzi – Ambientalista dell’anno e nel 2020 Legambiente le assegna la “bandiera verde”, vessillo simbolo di sostenibilità sull’arco alpino. Allevava la pezzata mochena, una razza indigena in via d’estinzione, proteggendo i suoi animali anche dagli attacchi degli orsi. Nel suo lavoro, aveva dimostrato una convivenza possibile con il predatore anche nell’allevamento all’aperto. “Quando vedo impronte o segnali della sua presenza – raccontava- mi chiudo in auto con dei petardi. Basta fare un po’ di rumore e il mio ‘vicino’ sa che è meglio andare da qualche altra parte”.
L’avventura migratoria di Agitu parte da lontano: era cominciata per motivi di studi a metà degli anni ’90 quando, a 18 anni , figlia di un’agiata famiglia di pastori semi-nomadi, vince una borsa di studio e parte per l’Italia per frequentare la Facoltà di Sociologia, prima a Roma e poi a Trento dove ottiene un dottorato. Il suo sogno però è rientrare in Etiopia per sviluppare con suo padre un progetto di agricoltura sostenibile. Ma è costretta a fuggire dopo essere stata più volte minacciata a causa del suo impegno contro l’accaparramento delle terre da parte delle multinazionali. Torna in Italia con lo statuto di profuga e inizia un ambivalente percorso di integrazione. Più volte denuncia aggressioni e minacce razziste : “Mi insultano, mi chiamano brutta negra, dicono che me ne devo andare e che questo non è il mio posto”.
Era forte e determinata Agitu e -dopo un primo periodo inserimento socio-lavorativo fatto di lavoretti precari- acquisisce dal Comune, a basso prezzo, un terreno “a uso civico” per la pastorizia e riesce a rinnovare una struttura dell’800 che diventa abitazione, latteria e allevamento e progressivamente diventa sede dell’azienda “La Capra Felice”. Recentemente aveva anche aperto una bottega a Trento dove commercializzava anche cosmetici a base di latte di capra.
Una panchina rossa dedicata alla sua memoria è già stata installata simbolicamente dove Agitu Ideo Gudeta allestiva il suo banco di formaggi, perché continui, almeno idealmente, a occupare quello spazio.
COSA NE SARA’ DELL’IMPRESA DI AGITU?
Promossa dalla sezione trentina di +Europa, è in corso un raccolta fondi sulla piattaforma ‘GoFundMe’ per garantire continuità al progetto.