Prendiamo posizione per toccare il cuore e la vita delle persone /2
Aprile – maggio 2021
a cura di Suor Teresa Linda
L’annuncio di questi giorni è sempre nuovo e sorprendente, quasi incredibile: la Quaresima culmina col mistero pasquale e apre così il cuore ad una speranza viva, capace di alimentare la lotta per la giustizia e la dignità di ogni persona: “Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sulla morte e sugli inferi.” Ap 1,18.
In questi giorni si fa più saldo l’impegno a resistere, a lottare per un mondo liberato, più giusto e ospitale, incominciando dal nostro cuore, dalle nostre relazioni, con chi ci vive accanto. Il Pastore Risorto, che vuole per ogni persona abbondanza di vita e di pace, ci testimonia che il male e la morte, se rimaniamo uniti a Lui, non hanno e non possono avere l’ultima parola nella nostra vita.
Vivere la Pasqua si accorda dunque con la riattualizzazione dello zelo per dare continuità e sostenibilità alla nostra missione che oggi si caratterizza come accompagnamento a processi di resilienza di donne e bambini, italiani e stranieri accolti nelle nostre realtà apostoliche, coinvolti in “passaggi” che richiedono coraggio, umiltà e disposizione a trasformarsi radicalmente.
Cammino quaresimale ed evento pasquale rappresentano pure una feconda chiave spirituale, un mantra interiore – in una logica di corresponsabilità che intreccia e competenze apostoliche e professionali di Sorelle e di partners laici – attraverso cui accompagniamo donne, ragazze, bambine e bambini, italiani, maltesi e stranieri che –sopportano inevitabili confusioni, fatiche e dolori legati ai “risvegli”[1]alimentati dalla speranza.
I loro cammini “quaresimali” volti a recuperare e promuovere attivamente dignità e rispetto nella vita propria e dei propri figli si presentano sempre più o meno lunghi. Si tratta di processi di resilienza complessi ed articolati a livello cognitivo, emotivo e comportamentale per rielaborare il dolore, la perdita, il lutto, il trauma superandoli, ristrutturando il proprio” impianto” di vita personale e sociale, generando e rigenerando energie interiori prima ignote.
Di recente la resilienza è stata adottata anche come originale chiave interpretativa delle S. Scritture[2]: “Effettivamente, a partire dalla «preistoria» sacra col peccato adamico e il diluvio (che, però, non sono considerati), la sequenza delle vicende dell’Israele biblico è scandita da traumi spesso catastrofici: la schiavitù egizia, la frattura nei due regni tra loro ostili, l’invasione assira, la distruzione di Gerusalemme e l’esilio babilonese, la crisi ellenistica con le repressioni del potere siro, tanto per citare le tappe capitali di questa storia. Ebbene, alle varie catastrofi subentra sempre una epistrofe, ossia una reazione che ricostruisce dalle macerie un’identità dai tratti permanenti eppur innovativi[3].
Un po’ com’è accaduto alla prima comunità cristiana, formata inizialmente solo da quegli ebrei che avevano riconosciuto in Gesù il Messia, e lo avevano seguito come la Persona lungamente attesa, come promotore di un miracoloso rinnovamento: nei giorni della passione e morte si è ridotta ad un piccolissimo gregge, un piccolo resto[4].
L’incomprensione delle misteriose vie che Dio percorre per realizzare il suo Regno di amore, giustizia e pace tra noi e con Lui, scuote profondamente anche questi pochi discepoli di Gesù: solo la Madre rimane ferma sotto la croce con il discepolo Giovanni. Gli altri si smarriscono, abbandonano, tradiscono, rinnegano, dubitano del loro Maestro, assaporano il senso di fallimento della loro vita e la delusione di aver seguito un Rabbi così poco potente.
Hanno vissuto due giorni di profondo travaglio che li hanno cambiati radicalmente. Ma solo l’esperienza del Risorto, che gradualmente si fa riconoscere, con delicatezza e rispetto per il loro dolore e fragilità, riversando nei loro cuori il suo spirito di pace e di consolazione, li illumina e li aiuta a rileggere l’esperienza vissuta con Lui, come il luogo della realizzazione della fedeltà di Dio alle sue promesse.
Il piccolo resto è veramente alternativo nel credere, come la Madre, che a Dio tutto è possibile; attraverso queste donne e questi uomini si è diffusa nel mondo la prospettiva di Dio sull’uomo e sul senso della sua vita: una prospettiva capace di generare speranza nel futuro. Una speranza a cui invita anche Santa Maria Eufrasia rispetto alle sorti dell’Opera del Buon Pastore che ha attraversato sconvolgimenti epocali lungo quasi quattro secoli dalla sua fondazione ad opera di San Giovanni Eudes:
“Quand’anche non restassero sulla terra che otto ferventi religiose della Congregazione, saranno sempre bastanti per farla rifiorire.”[5]
E tutto questo è potuto accadere perché nonostante tutto il buio interiore ed esteriore, hanno sperimentato che in qualche angolo del loro cuore una piccola fiammella di fiducia nel Signore continuava ad ardere. Pietro ne è l’esempio: mentre cade, tocca con mano tutta la povertà e la limitatezza del suo amore per il Signore, ma toccato dallo sguardo che Gesù gli rivolge, si aggrappa alla fiducia nella sua misericordia. Quell’esperienza sancisce l’inizio doloroso del passaggio dalla fiducia nella certezza del suo amore, impetuoso e generoso al Signore, all’accoglienza di una fede nuda e spoglia nell’amore incondizionato e fedele di Gesù per lui. Anche noi siamo chiamati a compiere questo passaggio nella nostra vita di fede per stabilirci e costruire la nostra vita sulla salda roccia del suo Amore per noi.
Il profeta Sofonia (Sof 3,12) aveva annunziato che Dio avrebbe fatto restare in Israele solo un popolo umile e povero che si sarebbe distinto per la fiducia riposta solo nel Signore.
Il piccolo resto[6] confida nel Signore perché è divenuto umile, non appoggiandosi più alle sue forze, è divenuto povero, scoprendo che il vero tesoro da possedere è la pace del cuore con Dio e con il prossimo anche a costo di pagare di persona per custodirla.
Questa umiltà e povertà di cuore è frutto di un apprendimento quotidiano di conoscenza e di imitazione dei pensieri, sentimenti e atteggiamenti di colui che di sé ha detto: Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore.
“Gesù non è un maestro che con severità impone ad altri dei pesi che lui non porta: questa era l’accusa che faceva ai dottori della legge. Egli si rivolge agli umili, ai piccoli, ai poveri, ai bisognosi perché Lui stesso si è fatto piccolo e umile. Comprende i poveri e i sofferenti perché Lui stesso è povero e provato dai dolori. Per salvare l’umanità Gesù non ha percorso una strada facile; al contrario, il suo cammino è stato doloroso e difficile. Come ricorda la Lettera ai Filippesi: «Umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (2,8)[7];
A questo movimento discendente di Gesù negli abissi del male e della morte il proseguimento dell’inno cristologico evidenzia il movimento ascendente del Risorto che è fatto sorgere ad una nuova vita proprio per lo stile con cui ha vissuto la sua missione e ha donato la sua vita: “Per questo Dio lo ha esaltato”.
Il Pastore Risorto, coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto (Ebrei 2,9), si presenta ai suoi con gli stessi tratti di mitezza e umiltà e ricostituisce la comunità dei discepoli che si erano dispersi in seguito alla sua morte.
Le apparizioni di Gesù Risorto parlano di noi, come singoli e come comunità, di come siamo raggiunti dal suo amore là dove ci troviamo per assicurarci che Lui non smette mai di credere in noi e di amarci: i segni delle ferite che gli abbiamo procurato, ma che non hanno avuto il potere di imprigionarlo nella morte, rimangono per sempre a testimonianza dell’immensità e della vulnerabilità del suo amore.
“Dio ti verrà incontro là dove la tua umanità avrà disceso tutti i gradini della debolezza e tu avrai raggiunto la consapevolezza del tuo limite. Se non sarai tu stesso a scegliere la via dell’abbassamento, la vita ti porterà dove tu non vorresti, perché, come insegna il Signore, solo chi vive con umiltà la sua debolezza sarà esaltato (cf Lc 14,11).[8]
(continua)