Prendiamo posizione per toccare il cuore e la vita delle persone/3
estate 2021
a cura di Suor Teresa Linda
“Dio ti verrà incontro là dove la tua umanità avrà disceso tutti i gradini della debolezza e tu avrai raggiunto la consapevolezza del tuo limite. Se non sarai tu stesso a scegliere la via dell’abbassamento, la vita ti porterà dove tu non vorresti“[1].
Così il Maestro di San Bartolo ci accompagna lungo la via del progresso spirituale a condizione che accettiamo veramente di cuore di essere creature deboli, fragili, incapaci di salvarci da soli: è questa la via della nostra piena umanizzazione e del riconoscimento dell’umanità dell’altro, cioè del considerare le persone come un bene da valorizzare e non come oggetti da possedere.
Ma quale via stiamo percorrendo oggi in Europa, soprattutto se guardiamo alle violente politiche che l’Unione Europea persevera contro i migranti? «Dopo essere stata per secoli la patria del cristianesimo, l’Europa ha perso la forza di indignarsi, di insorgere contro i soprusi, le prepotenze, le violenze e le ingiustizie. Ha smarrito la decisione di Giobbe di ribellarsi per non rassegnarsi al conformismo e allo scetticismo”[2].
Potremmo quasi parlare di una nuova forma di Olocausto, che a differenza del primo è sotto gli occhi di tutti: chi può dire di non sapere di come l’Europa si stia trasformando in una fortezza? A questa emergenza umanitaria la Congregazione sin dal 2011 ha dedicato una delle sue Posizioni, quella sulla Migrazione, rimemorizzandoci le nostre radici spirituali giudeo-cristiane basate sul messaggio evangelico “ero straniero e mi avete accolto” (Matteo25,35), che oggi ci chiama a vivere delle trasformazioni profonde. Urge costruire condizioni che rendano possibile incontrarsi, conoscersi e rispettarsi reciprocamente, sopportando le inevitabili fatiche dovute all’impatto con le differenze, nella consapevolezza che “la questione dello straniero è paradossale poiché mentre tu credi che lo straniero sia l’altro, l’altro crede che lo straniero sia tu”[3].
Riusciremo ad andare verso un futuro di donne e uomini responsabili, capaci di giustizia e riconciliazione, valori centrali del patrimonio spirituale testimoniati dai nostri Fondatori? Il primo passo per incamminarci verso un futuro più umano passa per il riconoscimento della catastrofe umanitaria che si sta realizzando alle porte del nostro continente. L’Unione Europea continua a finanziare Libia e Turchia in particolare, per impedire che i migranti entrino in Europa: non riconosciamo la stessa nostra stessa umanità in coloro che vogliono raggiungere il nostro continente per rifarsi una vita. Sarebbe veramente paradossale che l’Occidente, culla dei diritti dell’uomo, li facesse naufragare nel mare dell’indifferenza.
Eppure ci sono state epoche in cui l’Europa è riuscita a fronteggiare ben altre “invasioni”: lo fece nel momento peggiore, negli anni di violenza ed anarchia che seguirono la caduta dell’impero romano, quando le invasioni erano feroci e spietate[4], non migrazioni di persone disperate che scappano da guerre, persecuzioni ed effetti dei cambiamenti climatici. Era il tempo di San Benedetto da Norcia –forse non a caso tra i patroni d’Europa- [5] e dell’efficace ‘ora et labora’. Oggi però il pericolo non viene dall’esterno: produciamo dolore e violenza con l’indifferenza o la presunzione di saperi sui migranti. Ce lo ricorda infaticabilmente Papa Francesco con parole sempre più chiare:
- in occasione della prima visita del suo pontificato, a Lampedusa: “chiedo perdono per i morti che nessuno piange… La globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere”;
- nel suo messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2019 sentiamo tutta la sua compassione: “Non si tratta solo di migranti! nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata”;
- all’Angelus del 25 aprile scorso esprime tutto il suo dolore per l’ennesima tragedia consumata nel Mediterraneo: “sono persone, vite umane, che per due giorni hanno implorato invano aiuto, che non è arrivato. Preghiamo per loro, ma anche per coloro che possono aiutare ma preferiscono guardare da un’altra parte”, sottolineando chiaramente che per noi europei questo è il momento della vergogna. Provare vergogna è una grazia perché vuol dire che non accettiamo il male ed è il primo passo per richiedere perdono ed aprirci a percorsi di riconciliazione.
I migranti sono la cicatrice più profonda della globalizzazione: non li trattiamo come cittadini ma alla fine neppure come uomini.[6] Si tratta della nostra umanità che è messa in crisi, personalmente e comunitariamente. L’accettazione della crisi apre il camino per la sua risoluzione, altrimenti il rischio è di vivere nell’ipocrisia di far finta di non vedere quanto sta succedendo invece di provarne profonda vergogna.
Non a caso negli ultimi mesi nella sezione Intorno a noi del Sito abbiamo tenuto viva l’attenzione su questa emergenza epocale[7] per mantenere viva la nostra capacità di indignarci e di reagire a quanto accade, consapevoli che, come occidentali, sia personalmente sia comunitariamente, dobbiamo farci carico della storia che ci ha visto nei secoli passati dominare e prevaricare su varie popolazioni, nei diversi continenti. Urge chiedere perdono per tutte gli errori e le ingiustizie che i nostri padri hanno compiuto e impegnarci a riparare gli errori del passato attraverso un modello di convivenza tra diversi che rispetti le reciproche dignità.
L’accoglienza, l’ospitalità, ci interpella tutte e tutti, in quanto segno dei tempi, la stessa teologia ci orienta a ripensare e praticare la teologia del dialogo. La presenza di migranti di diverse culture e religioni rende necessaria la pratica del dialogo e dell’ascolto perché si realizzi l’incontro.
Il dialogo interreligioso è chiamato a diventare lo sfondo della teologia del XXI secolo, come la secolarizzazione era stato lo sfondo della teologia del secolo precedente. In questo cambiamento d’epoca occorre un nuovo modo di pensare la stessa teologia che possa aiutare e favorire la convivenza tra le persone. Occorre una nuova comprensione e auto comprensione della religione e delle religioni perché l’attuale autocomprensione delle religioni è spesso di ostacolo alla convivenza. La ricerca di un nuovo modo di pensare e di vivere il dialogo interreligioso è un tema che ha carattere civile, politico e umanitario. Un contributo della teologia pubblica[8] per la città a servizio della crescita spirituale e culturale dell’umanità[9].
Per noi del Buon Pastore si tratta di realizzare una missione di giustizia e riconciliazione caratterizzata da programmi che promuovano – sulle orme di Santa Eufrasia – reciproco amore riconoscente: rispetto e conoscenza delle migrazioni nonché cultura dell’incontro perché gli stranieri siano accolti e sostenuti i loro diritti di partire, di integrarsi e di tornare[10] anche secondo il Magistero della Chiesa: “chi si trova in stato di necessità ha il diritto di provvedere alle proprie necessità dalle ricchezze altrui”[11].
Nella testimonianza della nostra Fondatrice troviamo motivazioni ed energie per affrontare la complessità di questo nostro mondo globalizzato con la passione ardente per il bene delle persone che la caratterizzava. Lei che considerava il voto di zelo il cuore della nostra vocazione, ancora oggi ci ripete:
“Applicatevi con zelo puro, prudente, universale e perseverante….Uno zelo universale e perseverante: non si deve avere uno zelo a scatti che dura una settimana e poi si raffredda, ma uno zelo costante; uno zelo universale che non fa differenza tra paese e paese, tra persona e persona…”[12].
(continua)