Prendiamo posizione per toccare il cuore e la vita delle persone/4
a cura di Suor Teresa Linda
Di fronte alle tante forme di ingiustizia globale, che ogni giorno ci colpiscono attraverso i mezzi di comunicazione, siamo chiamati a riconsiderare attentamente la cura delle nostre relazioni perché la giustizia e la pace, la misericordia e la verità si incontrino e abitino più diffusamente la nostra terra (cfr. Sal 84). Sì, perché la giustizia o la pratichiamo concretamente nelle relazioni con il creato, tra di noi e con il totalmente Altro da noi, o rimane un principio astratto e sterile.
La giustizia come prima ed essenziale dinamica dell’amore, come ricerca della misura, dell’equilibrio – né troppo né troppo poco – vive nel pensiero, nella parola e nell’azione. La giustizia è il punto nodale della rete di rapporti che avvolge le persone umane nella loro dimensione orizzontale e verticale. Siamo immersi nelle relazioni che generano, ricevono e curano questa vita che ci è data in dono e a cui dare continuità sempre più pienamente.
Noi del Buon Pastore siamo mosse dalla visione di una cultura globale di giustizia che la Congregazione ci chiama a vivere in ogni comunità del mondo, suore e partners laici in rete con il territorio: una cultura profondamente inclusiva e dialogica con le differenti fedi e sistemi di valori in quanto basata anche sulla regola universale, presente in maniera sostanziale in tutti i gruppi umani: la “Regola d’oro” o etica della reciprocità, nella sua forma negativa e positiva, “Non fare agli altri ciò che vuoi che non si fatto a te” e “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”.
In questa regola è centrale la nostra relazione con l’altro. Se praticata aiuta a limitare le azioni negative nei confronti dell’altro e promuove comportamenti che alimentano offerte di vita, prospettive di bene comune e quindi di futuro. È interessante notare che nelle 10 Parole che stipulano l’Alleanza tra Dio e il popolo d’Israele ai piedi del Monte Sinai, solo le prime tre riguardano la relazione con Dio mentre le rimanenti sette riguardano le relazioni interpersonali. Sono 10 Parole che, anche se sono formulate in forma negativa per la maggior parte, indicano cammini di vita e di bene per una convivenza giusta e pacifica.
Anche Gesù verso la conclusione del Discorso della Montagna riprende la “Regola d’oro”, la fa sua nella forma positiva e la collega alla tradizione del popolo d’Israele: “Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt 7,12). Lui però chiama i suoi discepoli a compiere nella propria vita ulteriori avanzamenti perché la giustizia si dilati sempre di più nell’amore, secondo la prospettiva di Dio. Per Gesù è necessario essere in un continuo apprendistato per arrivare ad includere nell’amore anche i nemici (Lc 6, 27-38), prendendo come esempio e misura la sua stessa modalità d’amare: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12). La misura dell’amore non è più quindi soltanto l’uomo ma Dio stesso, che nel suo farsi uomo in Gesù, si è unito in certo modo ad ogni uomo[1] e che valuterà ciò che viene fatto agli altri come fatto a sé (Mt 25, 40).
Veramente, parafrasando il Prologo del Vangelo di Giovanni “In principio era il Verbo e il Verbo era Dio” (Gv 1,1), potremmo dire che in principio era la relazione e la relazione era ed è la vita degli uomini. Dio ci ha creato a sua immagine, a immagine di Dio Uno e Trino, relazione comunionale nella diversità perché insieme a Lui collaboriamo alla cura e alla continuità della creazione.
Dobbiamo però ammettere che molto spesso come cristiani ed anche europei, nel corso della storia, nella nostra relazione con l’altro non siamo stati in grado di riconoscerlo e rispettarlo nella sua diversità. Il nostro mondo moderno pone la sua data di nascita nel 1492 con la cosiddetta “scoperta dell’America”. Questa data per noi europei rappresenta l’inizio di un’epoca di nuove rotte commerciali, tratta transatlantica ed espansioni coloniali. Ma per milioni di indios che vivevano fino ad allora indisturbati e che avevano generato culture e visioni del mondo differenti dalla nostra, questa data segna, invece, l’avvento dei dominatori che impongono con la forza il loro potere al punto di distruggere gran parte del loro mondo e della loro cultura.
L’Occidente moderno è nato dalla rimozione dell’Altro[2]: questo meccanismo psicologico si manifesta sia quando dichiariamo l’altro “uno di noi”, non tenendo conto delle sue differenze religiose e culturali, sia quando dichiariamo l’altro “troppo diverso da noi”, non considerandone l’uguaglianza nella comune umanità.
Occorrerà aspettare il Giubileo dell’Anno 2000. Qui c’è l’inizio di assunzione di responsabilità di questi comportamenti antievangelici e distruttivi dell’esistente. Giovanni Paolo II nella Preghiera universale di confessione delle colpe e richiesta di perdono confesserà, a nome di tutta la Chiesa le colpe dei credenti commesse con comportamenti contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni così si rivolgeva al Signore:
Signore del mondo, Padre di tutti gli uomini,
attraverso tuo Figlio tu ci hai chiesto di amare il nemico,
di fare del bene a quelli che ci odiano e di pregare per i nostri persecutori.
Molte volte, però, i cristiani hanno sconfessato il Vangelo e, cedendo alla logica della forza,
hanno violato i diritti di etnie e di popoli, disprezzando le loro culture e le loro tradizioni religiose:
mostrati paziente e misericordioso con noi e perdonaci!
Il riconoscimento della colpa e la richiesta di perdono sono il primo passo verso la riconciliazione e la guarigione dei singoli e delle nazioni, come spronava Padre Balducci: “quello che è avvenuto non va lasciato al passato; sappiamo che, per una legge psicologica che può essere estrapolata e applicata anche ai popoli, ai continenti, alla umanità intera, certi fatti del passato vivono, sono attivissimi nel presente e costituiscono quel nucleo morboso da cui rampollano le nevrosi, l’istinto di morte e le aggressività inesplicabili del mondo moderno”[3].
Riconoscere l’altro come uguale in umanità e differente nella sua unicità[4] e coltivare questa consapevolezza nel nostro cuore, apre vie all’ascolto, al dialogo, alla reciproca conoscenza e collaborazione: smettiamo così di vedere nell’estraneo, nello straniero, un pericolo e un nemico da cui difenderci; mentre ci arricchiamo della sua diversità ri-approfondiamo sotto nuova luce la nostra identità, proprio a motivo dell’incontro tra diversi.
In un altro passaggio del testo di Padre Ernesto Balducci meditato la scorsa estate, ho letto un passaggio che trovo profondo e di prospettiva e che qui desidero condividere:
“Solo la capacità di ascolto ci può mettere dinanzi all’Altro, alla sua diversa umanità, nella condizione di comprendere che quest’ultima ci riguarda direttamente… Noi portiamo in noi qualcosa che è Altro da noi, ma questa alterità non è soltanto l’ombra, ma è luce, è la potenzialità obiettiva di forme umane più alte in cui le culture si comprendono l’una con l’altra, in cui le alterità non si annullano, né si assimilano ma restano tali nel gioco dello scambio reciproco in vista di intese sempre più alte. L’Alterità è il veicolo della nostra dilatazione, perché comprendendo l’Altro che è in me ed è fuori di me io dilato me stesso, rimanendo altro dall’Altro che ho compreso.”
Su queste dimensioni interiori e relazionali oggi più che mai, attraverso il magistero di Papa Francesco, la Chiesa ci chiama ad un maggiore impegno di conversione trasformativa, perché la capacità del Vangelo di rinnovare la vita personale e comunitaria continui a diffondersi nel mondo che sta strutturalmente cambiando.
Noi ci siamo e ci saremo, nelle nostre Posizioni e con il nostro impegno quotidiano, seguendo il filo conduttore “Attratte dall’amore, appassionate per la giustizia” proposto dal 31° Capitolo Generale, che raccomanda “una leadership che promuove e facilita una cultura di giustizia all’interno delle nostre comunità e dei nostri ministeri[5]. Facciamo insieme la differenza!
(continua)