Giornata mondiale sull’abolizione della schiavitù Una realtà disumana: nessuna persona è proprietà altrui
Questa giornata pone l’attenzione sulla necessità dello sradicamento delle forme contemporanee di schiavitù, quali la tratta di persone, lo sfruttamento sessuale, le peggiori forme di lavoro minorile, i matrimoni forzati e il reclutamento forzato di bambini nei conflitti armati. La data coincide con quella di adozione, da parte dell’ONU, della Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui del 2 dicembre 1949. Questo per ribadire quanto sancito nel 1948 dall’articolo 4 della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.”
Lo sfruttamento economico forzato, in settori quali l’agricoltura, le costruzioni e nei laboratori clandestini, colpisce indistintamente le donne e gli uomini, quasi in uguale percentuale. Invece, i dati riportano che vi è una notevole percentuale di donne e ragazze vittime dello sfruttamento sessuale. GIi studi condotti dall’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) rivelano però che sono i minori di 18 anni a rappresentare la più drammatica percentuale di vittime del lavoro forzato nel mondo, costituendo il 40-50 % degli abusati: “Il mondo non sarà in grado di raggiungere gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile senza l’intensificazione degli sforzi per combattere questi drammi. Queste nuove stime globali possono contribuire a elaborare e sviluppare interventi per prevenire sia il lavoro forzato che il lavoro minorile». (Guy Ryder, Direttore Generale dell’ILO).
L’impegno della Fondazione Internazionale Buon Pastore per liberare donne e bambini dalla schiavitù è sempre più apprezzato e premiato.
Foto dalla missione in Congo (https://congo.gsif.it/)
Foto dalla missione in Congo (https://congo.gsif.it/)
PICCOLO APPROFONDIMENTO SULL’ORIGINE DELLO SCHAVISMO
Dalla preistoria al mondo moderno, la schiavitù è esistita sotto varie forme; benché condannata nella Convenzione di Ginevra del 1926, in alcuni paesi persiste tuttora. Cause della condizione di schiavitù sono state, tra l’altro, le invasioni, le guerre, i debiti non saldati, i crimini commessi punibili, infatti, coi lavori forzati.
Foto arsvalue.com da un’opera di Clet AbrAham, 1966
La schiavitù ha alimentato in ogni epoca un commercio redditizio, in quanto gli schiavi costituivano la forza lavoro più economica. Ebbe inizio probabilmente con la nascita dell’agricoltura; è rara, infatti, nei popoli nomadi e dediti alla pastorizia. Essa è documentata nelle principali civiltà antiche in Mesopotamia (Sumeri, Assiri e Babilonesi), Medio Oriente (Ittiti, Ebrei), Egitto, India, Cina. La prima legge scritta che riconobbe alcuni diritti agli schiavi fu il codice babilonese del re Hammurabi (18° secolo a.C.), la prima raccolta di leggi scritte su pietra, oggi conservate al Museo del Louvre a Parigi.
E OGGI? UNA RIFLESSIONE CHE CI RIGUARDA TUTTI A PROPOSITO DI SHOPPING QUOTIDIANO E COMMERCIO INTERNAZIONALE
...SIAMO CONSAPEVOLI CHE IL COTONE CINESE DEI NOSTRI ABITI È RACCOLTO DAGLI SCHIAVI UIGURI?
Foto: rsi.ch/news/mondo/Lavori-forzati-per-gli-uiguri-13683685.html
Nella regione cinese dello Xinjiang viene prodotto il 20% del cotone usato in tutto il mondo. A raccoglierlo e lavorarlo però è un esercito di oltre mezzo milione di schiavi appartenenti alla minoranza etnica di religione islamica degli uiguri.
Evidenziata in rosso la regione autonoma dello Xinjiang (foto da Google Maps)
Cosa sta succedendo e qual è la responsabilità dei marchi occidentali…ma anche la nostra in quanto consumatori?
SPESSO NEI NOSTRI ARMADI…C’E’ IL LORO LAVORO!
Tra la fine di dicembre 2020 e l’inizio di gennaio 2021, il Guardian e il parlamentare europeo francese Raphaël Glucksmann hanno chiesto ad alcuni marchi e gruppi di moda se utilizzassero cotone proveniente dallo Xinjiang per i propri capi. Nessuno ha detto di sì, nessuno (a parte Burberry) ha detto di no.