Prendiamo posizione per la diversità come condizione di relazioni ospitali
a cura di Fiorella Capasso,Fiodanice-Cultures en dialogue
Marzo 2020 – seconda parte –
…l’altro dunque ci provoca, con lo sguardo, con l’appello: “Ospitami” [1]. Non permettiamo che la diversità si trasformi in disuguaglianze o in violenza: rispondiamo “Eccomi”. Con coraggio, responsabilità, senso del limite, rispetto delle circostanze in cui l’incontro avviene…e con un supplemento d’anima [2], per bilanciare il peso della realtà, riparandola in rete, nella fatica e nella Grazia.
Qui i dubbi sono pochi: l’umano, il contesto sociale, il mondo, l’universo, sono intrisi di molteplicità e complessità. Esse costituiscono la creatività originale e l’individualità dinamica e costruttiva delle persone: valori da custodire e da coltivare per impedire alla diversità di trasformarsi in disuguaglianze sociali e civili, giuridiche ed economiche, oppure di trasformarsi in violenza, come quando riteniamo di essere già in possesso di un sapere sull’altro e sul mondo [3].
La diversità non è un ostacolo da superare o un disagio da azzerare, ma un’imprescindibile risorsa alla ricerca di riconoscimento e di valorizzazione della differenza. Certo, noi occidentali ci muoviamo, da tempo, con molte difficoltà nel terreno della valorizzazione della differenza…dell’ospitalità del diverso:
“Si, ci attende un lungo e faticoso cammino: in questa nuova stagione dobbiamo infatti diventare competenti della complessità, esperti della diversità, e capaci di incontrare e di comunicare con uomini e donne che vengono da altre esperienze e percorrono altre strade che non sono le nostre. Dobbiamo esercitarci all’ascolto, all’accoglienza dell’altro e quindi imparare ad accettare il mistero e l’enigma di chi non conosciamo, di chi appare come l’estraneo e non solo lo straniero…Gli altri non sono l’inferno: sono la nostra beatitudine su questa terra” [4].
La questione è complicata per tutti anche se, agli occhi dei cristiani, il cammino appare piuttosto chiaro: è quello dei discepoli di Emmaus che erano in viaggio insieme con un forestiero. Dialogarono e quando condivisero lo stesso pane riconobbero in lui Gesù (Luca 24, 13-35). E’ dall’inconosciuto e come sconosciuto che il Signore arriva sempre nella propria casa e dai suoi [5]: “Ecco, io vengo come un ladro” (Apocalisse 1,15).
“Coloro che credono in Lui sono chiamati incessantemente a riconoscerlo così, abitante lontano o venuto da altrove, vicino irriconoscibile o fratello separato, accostato per via, rinchiuso nelle prigioni, alloggiato presso i derelitti, o ignorato, quasi mitico, in una regione al di là delle nostre frontiere”[6].
Però forse, a noi occidentali, ivi compresi i cristiani, deve essere sfuggito qualcosa: la modernità si è aperta con la conquista selvaggia dell’America [7] da parte degli europei. Era l’anno 1492 e Colombo attraversava l’Oceano Atlantico alla ricerca dell’oro col quale sperava di convincere i reali di Spagna a finanziare una nuova crociata per la conquista dei Luoghi Santi: “L’incontro del 12 ottobre 1492 fra Colombo e gli indigeni fu un evento senza precedenti. Proviamo a rievocarlo per comprendere come fu possibile che la meraviglia di fronte al nuovo, all’altro, sfociasse nel suo immediato annullamento. Colombo inizia così il resoconto del suo primo viaggio di scoperta: …vi scrivo questa lettera, dalla quale saprete come in 33 giorni andai in isole abitate da innumerevoli genti. Di tutte ho preso possesso in nome delle Loro Altezze con un proclama e con la bandiera spiegata e senza incontrare opposizione”[8].
In quel momento decisivo Colombo rivela la completa negazione della coscienza dell’altro e della sua umanità. Non a caso, dalla fine del XV secolo e in diversi continenti, l’Occidente ha spesso saccheggiato le terre straniere, sterminando e riducendo in schiavitù i nativi…lontanissimo, l’Occidente, dal praticare relazioni ospitali…e cristiane.
Nel tempo, specie negli ultimi secoli, avidità e volontà di dominio hanno preso sempre più spazio.
E’ recente il monito di Papa Francesco [9]: “Cinquanta persone possono salvare milioni di vite.”
Più precisamente Papa Francesco afferma che: “Le cinquanta persone più ricche del mondo da sole potrebbero finanziare l’assistenza medica e l’educazione di ogni bambino povero nel mondo e potrebbero salvare milioni di vite ogni anno” .
Dati alla mano, il Papa torna a denunciare [10] l’iniquità universale di un mondo ricco in cui tuttavia i poveri aumentano portando milioni di persone a essere vittime della tratta e delle nuove forme di schiavitù, lavoro forzato, prostituzione e traffico di organi: “Non usufruiscono di alcun diritto e garanzia; non possono neppure godere dell’amicizia o della famiglia” [11].
Non sarà che diventare capaci di ospitare, in ogni tempo…richieda tempo [12] e scelte coraggiose? Non sarà che ogni generazione è chiamata a “scegliere a che cosa e a chi dare la priorità…? Dobbiamo essere consapevoli che tutti siamo responsabili. Ciò non vuol dire che tutti siamo colpevoli ma responsabili di fare qualcosa”[13].
Prendere posizione per la diversità e praticare l’ospitalità è compiere atti di coraggio senza intermittenze. E’ qualcosa di radicale e mai acquisito: “Come la giustizia, il coraggio resta sempre da fare e da provare”[14]. E’ qualcosa di radicale perché abbraccia non solo le relazioni intersoggettive, ma ci impegna a “tracciare un nuovo modo di essere nei confronti della Natura, nell’apertura incessante al Mistero maggiore che si rivela in ogni momento negli spazi più inusitati”[15]. L’ospitare è atto d’amore: un lasciar accadere un cambiamento di mente e di cuore, un cambiamento di prassi radicale che deve afferrare tutta la persona, carne, mente, nervi, ossa [16]. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Giovanni, 15-12).
Praticare oggi un’ospitalità che riconosce le differenze ci apre così a nuovi terreni su cui camminiamo spesso spaesati. Non sarà che riparare le complesse relazioni tra gli uomini e con la Terra richiederà di sperimentare speciali competenze, umane e spirituali come la capacità di esprimere solidarietà-nel-non-capirsi [17]? Un qualcosa di molto vicino alla novità evangelica “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male” (Luca 6,27-38). E’ il principio profondamente operante nella vita della Fondatrice, Santa Maria Eufrasia, che maturò straordinarie capacità di gestione dei contrasti e delle ostilità sollevate, a vari livelli, dalla novità del Generalato: il modello di organizzazione dei monasteri, sconosciuto e inimmaginabile, che la giovanissima superiora propose alle sue sorelle per potenziare e ampliare lo slancio apostolico dell’Opera voluta, nel 1641, da San Giovanni Eudes.
Nel secolo della rivoluzione industriale e dei relativi sconvolgimenti economici, sociali e culturali [18], era urgente rispondere in maniera più rapida ed efficace alle necessità della Missione, era necessario che i monasteri, fino ad allora autonomi, condividessero le risorse umane e finanziarie mettendo in rete – diremmo oggi – realtà apostoliche diverse, per aprirle al futuro. Santa Maria Eufrasia fu una pioniera della solidarietà-nel-non-capirsi: esercitò una comprensione profonda della posizione dell’altro, delle sue emozioni e delle sue ragioni. La novità del Generalato scompigliava la vita a persone e istituzioni perché introduceva differenze sconcertanti e potenzialmente divisive in quanto contrarie alla tradizione. Santa Maria Eufrasia intuiva e teneva presente le fatiche e le contraddizioni di chi, non condividendo la “sua” novità, ne soffriva. Sentiva e capiva profondamente la lotta che si scatenava nelle persone per fare spazio all’altro…per ospitare la diversità.
Amedeo Modigliani, Donne che riparano la rete