20 GIUGNO – Giornata internazionale del rifugiato

20 GIUGNO – Giornata internazionale del rifugiato

ONORE ALLA FORZA E AL CORAGGIO
DI CHI È COSTRETTO A VITE AI BORDI DEL MONDO

La Giornata internazionale del rifugiato, indetta dalle Nazioni Unite, viene celebrata il 20 giugno per commemorare l’approvazione ,nel 1951, della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati (Convention Relating to the Status of Refugees)per la protezione di persone «che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra (Articolo 1A)». L’Italia ha ratificato la Convenzione di Ginevra sullo Status dei rifugiati nel 1954.

Nel 2019 l’Alto Commissariato per i Rifugiati ha “certificato” circa ottanta milioni di “profughi”: ottanta milioni di umani come noi, con nome e cognome, generi, età, identità certe, linguaggi, emozioni, desideri e paure in carne ed ossa, costretti a fuggire e ora in fuga, lontani dalle proprie case e per la metà dalle proprie nazioni, abitanti ma non residenti, precari e fragili. Il Rapporto annuale Global Trends dell’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite  per il 2019, reso noto il 18 giugno in vista della giornata mondiale del Rifugiato del 20 giugno 2020, fornisce un quadro drammatico delle persone che nel mondo sono sottoposte a violenza, persecuzione, violazione di diritti umani in patria, oppure costrette comunque a lasciare il luogo dove dimoravano fino al 2018, ma restando dentro i confini del proprio paese.

Il Refugee day 2020 vuole fare memoria di una realtà che sta raggiungendo vertici inediti: ogni tre secondi una persona è costretta ad abbandonare la propria casa per guerra, carestia e fame, persecuzioni religiose o etniche, disastri ambientali…tra queste persone, molte hanno un’età inferiore ai diciotto anni.

OGGI SIAMO NEL PIENO DI UNA DERIVA UMANITARIA:
MENTRE LE PERSONE COSTRETTE A SCAPPARE AUMENTANO
DIMINUISCE LA NOSTRA CAPACITA’
DI OFFRIRE RIFUGIO ED ACCOGLIENZA.
CON LORO NAUFRAGA ANCHE LA NOSTRA UMANITÀ
MAI AVREMMO VOLUTO TROVARCI DI FRONTE AL CORPICINO DI UNA BIMBA DI CINQUE MESI RESTITUITA DAL MARE SULLE COSTE LIBICHE NEI GIORNI SCORSI

CINQUE MESI. UN CORPO RESTITUITO. QUELLA ERA UNA BAMBINA.

È doloroso anche solo guardare. Doloroso scorgere il pannolino che spunta appena, la pancina scoperta, il telo azzurro.

Un coniglietto sulla tutina a ricordarci che quella era una bambina.

Una madre l’avrà sistemata per bene, le avrà tirato su la cerniera, chiuso il bottone in alto, si sarà accertata che fosse pulita e a posto per il viaggio.

Chi di noi non ha fatto quei gesti semplici, di “cura”, per il proprio bambino? Io li ricordo bene, li ricordo ora.

So che qualcuno passerà oltre, penserà ad altro, allontanerà la mente da questa immagine il prima possibile, perché fa male. Fa male pensare che una bambina di appena cinque mesi sia stata sputata dal mare come un rifiuto da raccogliere.

Siamo sulla spiaggia di Sourman, in Libia, luogo degli orrori. Nello stesso naufragio sono morte 12 persone e un altro bambino, ma che ve lo dico a fare.

Gli abbiamo sorriso e dato qualcosa (e credetemi questo non mi solleva per niente), quando si è allontanato la mia ragazza mi ha detto: “Mi fa male, soffro. Tutte le volte”.

“Anch’io”.

Ma non basta la sofferenza, certo è già qualcosa sentire e vedere, accorgersi del dolore degli altri, ma non basta. Lo so bene e gliel’ho detto.

Va trasformata in rabbia e, soprattutto, in azione costruttiva contro chi attua politiche discriminatorie. Facciamo in modo che il mondo sia di tutti, facciamo in modo che denunciare ogni ingiustizia vicina e lontana diventi parte della nostra storia.

E non smettiamo di indignarci. Di guardare il corpicino di una bambina di cinque mesi, anche se fa male, per chiedere con forza ai governi che le cose vadano in un’altra direzione. Quella dell’accoglienza e della solidarietà.

La fotografia di quel corpicino, come di tutti gli altri morti in mare, noi dobbiamo portarceli in tasca insieme alla tessera elettorale, lo ius soli e lo ius culturae (a cui qualcuno gridava con forza e salito al potere ha subito dimenticato) dovrebbero essere alla base delle nostre scelte, così come la richiesta di cambiare gli accordi con la Libia, altrimenti siamo co-responsabili di questo mondo inerme di fronte a madri e padri che cercano di portare in salvo se stessi e i propri figli.

Quel corpo di bambina dentro a quella tutina ci dovrebbe ricordare una cosa: nel mondo il diritto all’infanzia e alla vita devono essere uguali per tutti.

Mia figlia, le nostre figlie, quella bambina. Quale vita vale di più? Come la misuriamo? Con il bene? Il bene verso mia figlia vale di più di quello di un’altra madre?

La morte di questa piccola ci deve riguardare, deve riguardare le scelte del governo e le nostre, visto che per la sua esistenza non è stato così.

Oggi, domani e dopo portatela con voi, non dimenticate in fretta, che sia da monito per scelte umane e coraggiose, oserei dire.

Penny

P.S.: Domenica 2 febbraio era stato prorogato il memorandum Italia-Libia, firmato nel 2017, alle stesse condizioni, per altri tre anni. Si tratta del memorandum stipulato durante il governo Gentiloni, e che i successivi governi Conte hanno mantenuto finora: esso ha “regolato” la politica tra i due Paesi in tema di immigrazione, stabilendo una stretta collaborazione con la Guardia costiera libica, i cui membri sono stati accusati ripetutamente dalle agenzie Onu di traffico e detenzione di esseri umani.

Lo stesso memorandum è stato condannato dalle organizzazioni e dalle agenzie internazionali per i diritti umani per il rischio che rappresenta per la tutela dei diritti delle persone migranti.

L’altro giorno, prima di una visita medica, io e mia figlia ci siamo sedute ad un tavolino nelle vie del centro per fare colazione. Colazione, vie del centro. Ci pensate mai al privilegio di essere nate in questa parte di mondo?

Chiacchieravamo tranquille e si è avvicinato un ragazzo, pochi anni più di lei, la mano protesa in avanti. Africano. Altra parte del mondo.

Affermiamo la nostra fondazione spirituale giudeo-cristiana che si basa sull'impegno di “accogliere lo straniero”. La nostra prima risposta ai migranti e ai rifugiati è di accoglierli come vorremmo dare il benvenuto al Divino tra noi.

(cfr. Dichiarazione di Posizione della Congregazione sulla Migrazione)

Urge mettere in circolo GIUSTIZIA e RESPONSABILITA’